Psicologia clinica
Personalità schizoide, schizotipica, evitante, …
Perché le persone stanno da sole? Quali sono le differenze tra i disturbi di personalità evitante, schizoide, schizotipica, dipendente, …
Perché le persone stanno da sole?
Stavolta descriveremo di quando le persone non stanno con le altre persone o non riescono a stare abbastanza bene e a proprio agio con gli altri.
Proveremo ad approfondire le differenze tra la personalità evitante, dipendente, schizoide, schizotipica e ossessiva.
Per essere più preciso le persone possono evitare di stare con le altre persone per tanti motivi e sulla base di questi motivi si possono configurare gravi disturbi psicopatologici e della personalità.
Ci siamo già raccontati cos’è l’ansia sociale e cosa sono i disturbi di personalità, se non l’hai già fatto, se ti va, ti suggerisco di andare a guardarli.
Sintetizzando, dovremmo già sapere che:
i nostri comportamenti manifesti sono l’esito di quello che proviamo, che pensiamo e che soprattutto crediamo vero.
Lo stesso comportamento pertanto può essere espresso da ragioni e da motivazioni sottostanti anche molto diverse tra loro.
Ipotizziamo che sono una persona tendenzialmente sola. Sola, significa che raramente mi vedrete in compagnia di altre persone.
Qui si apre un mondo. Mi sento solo? Come mi fa sentire la solitudine? Perché sono solo? Cosa pensano gli altri di me vedendo che sono solo?
Andiamo con ordine.
Premesso, gli esseri umani sono animali sociali. Questo significa che la nostra storia etologica evolutiva ha promosso tutti quei comportamenti che ci avvicinano agli altri per il semplice fatto che stare con gli altri ha aumentato le nostre probabilità di sopravvivere in ambienti naturali. Gli altri individui sono utili per tantissime cose esattamente come noi siamo utili agli altri per tantissime ragioni. Non a caso siamo una delle pochissime specie che hanno sviluppato un sistema per comunicare tra membri; e indubbiamente siamo la specie con il sistema più complesso in assoluto: il linguaggio così come lo conosciamo.
La capacità di parlare è la prova inconfutabile che non siamo nati per stare soli.
Comunque, ci sono tanti modi e tanti motivi per stare con gli altri e almeno altrettanti per stare anche soli.
Stavolta parliamo di quando stiamo soli e non va bene. Magari un’altra volta approfondiamo di quando sentiamo il bisogno di dover stare per forza con gli altri e non va bene lo stesso.
Cosa diresti di una persona sola? La prima cosa che ti viene in mente qual è per descriverla? È sola perché è una persona…. INTROVERSA.
Ok, Una persona introversa è una persona poco socievole. Punto. Fino a qua va tutto bene. Va benissimo essere introversi.
L’introversione in sé non è un problema.
Ormai sappiamo che l’introversione è un tratto di personalità semplice ed elementare. Le persone possono nascere prevalentemente introverse o prevalentemente estroverse. Il problema si evidenzia quando questo tratto è estremizzato e compromette un adeguato sviluppo psicofisico perché inibisce eccessivamente i nostri rapporti con gli altri.
Ma anche questo non è tanto pericoloso. La cosa potrebbe diventare pericolosa quando le esperienze spontanee della nostra vita puniscono la nostra naturale tendenza di fare esperienza. Se sono particolarmente introverso e a scuola per questo motivo tutti mi deridono allora può cominciare a predisporsi un disagio che non sarà trascurabile. Se inoltre mi deridono pure a casa allora è un disastro totale.
Ma essere introversi non è assolutamente predittivo, comportamenti orientati alla solitudine possono essere espressi anche da persone estroverse con motivazioni di base diverse. La personalità di base ed i suoi tratti devono essere sempre approfonditi.
Riosserviamo la persona sola. Come sta quella persona?
1) sta benissimo ed è abbastanza serena;
2) ha un umore prevalentemente depresso;
3) ha un umore prevalentemente arrabbiato;
4) è ansiosa e si vergogna.
Come sta, dimmelo tu. Ok, pensa alla tua risposta. Una risposta precisa senza altri elementi non può esserci. Può stare in tutti i modi accennati sopra. E come sta un po’ di più? … Anche.
Sulla base di come sta prevalentemente e delle motivazioni che la portano a stare sola si possono strutturare disturbi psicopatologici e di personalità, dipende dal modo in cui la persona organizza la sua conoscenza e riflette sulla sua esperienza.
Una persona che sta prevalentemente sola perché genuinamente disinteressata al rapporto con gli altri, probabilmente sarà abbastanza serena. Se il disinteresse fosse così rigido a tal punto da far trascurare ogni tipo di relazione utile al soddisfacimento dei propri bisogni, allora si comincia a prendere in considerazione una personalità schizoide.
Se però la stessa persona volesse stare con gli altri ma dagli altri si sente minacciata e magari su questa minaccia percepita comincia a pensare cose strane, allora la personalità potrebbe essere schizotipica.
Cominciamo a capire?
Conta poco quello che facciamo, conta molto di più perché facciamo quello che facciamo e come ci fa sentire quello che facciamo.
La persona che evita di stare con gli altri per profondi sentimenti di vergogna è la personalità cosiddetta evitante. Ti ricordi che la vergogna è la paura di essere disapprovati? un disturbo di personalità evitante costringe la persona all’isolamento perché la persona comincia a temere più di ogni altra cosa l’umiliazione. Ad un certo punto evita di fare ogni cosa perché teme il giudizio degli altri. Ma a differenza della persona dipendente che generalmente almeno a casa sta bene; la persona evitante anche a casa spesso soffre. Non sopporta neanche più quello che i genitori o il partner pensano e impongono.
La personalità evitante non va via di casa perché crede che il mondo sia “una giungla piena di leoni”;
La personalità dipendente non va via di casa perché a casa si sente protetto e accudito.
Le personalità, in base agli eventi, esprimono stati emotivi anche contrastanti tra loro.
Ad esempio, la persona evitante appena va via di casa potrebbe sentirsi libera dai dettami morali che l’hanno sottomessa;
La persona dipendente, invece, quando va via di casa potrebbe sentirsi perduta.
Non trascuriamo che comunque, anche la persona dipendente, se crede che le sue premure non siano ricambiate nutre rabbia e odio.
La personalità evitante desidera avere relazioni interpersonali diversificate, la personalità dipendente no. La personalità dipendente vuole poche, pochissime relazioni ma perfette.
Non è facile comprendere queste dinamiche nella loro complessità. Nella vita reale ogni organizzazione, stile o disturbo di personalità non è mai così facilmente riconoscibile ma è sempre intrecciato con qualche altro disagio e sfumato con altri tipi di personalità.
Ad esempio, Anche la personalità ossessiva potrebbe preferire stare un po’ da sola ma non per questo sentirsi sola come la persona evitante che ad un certo punto si sente un tutt’uno con la solitudine.
Quanto è grave il disagio? Quanto è facile da risolvere?
Dipende, personalmente considero inizialmente la possibilità che sia facile. In questi casi basta provare nuovi modi di fare esperienza per modificare le proprie credenze circa eventuali conseguenze negative e scoprire nuove opportunità e nuovi piaceri.
E se non funziona? Se non funziona bisogna cominciare ad approfondire bene credenze, pensieri, resistenze, valori, morale, ecc.… al fine di incoraggiare nuove consapevolezze e nuove esperienze.
Il cambiamento potrebbe funzionare già a questo livello. E se non dovesse funzionare? In questi casi può essere utile considerare un disturbo di personalità.
Lo sai cosa contraddistingue la maggior parte dei disturbi di personalità? Che sono egosintonici.
Egosintonico significa che la persona sta bene con la sua personalità ma non sta bene con quello che succede a causa della sua personalità.
La persona crede di essere nel giusto e che tutto il resto sia sbagliato.
Ipotizziamo che pulisco continuamente la casa che abito perché credo che l’igienizzazione costante sia necessaria. Se soffrissi di disturbo ossessivo compulsivo la cosa mi darebbe fastidio e mi farebbe stare male perché riconoscerei di avere un problema. Starei male per il mio comportamento e riconoscerei di essere esagerato anche se non potessi fare a meno di pulire per ridurre costantemente la mia ansia. Con un disturbo di personalità ossessiva, pulisco ugualmente continuamente casa ma per me sarebbe oltre che giusto, sarebbe normale. Non penserei di avere un problema per questo. Penserei che sono gli altri ad essere sporchi. Rimarrei solo in casa perché non riuscirei a sopportare che gli amici in casa sporchino.
La terapia per i disturbi di personalità è una terapia spesso lunga e complessa finalizzata al compromesso tra la personalità normale di quello stile e la personalità patologica degenerata su quello stile.
Psicologia clinica
Noia, Angoscia e Disperazione
Cos’è la noia? Cos’è l’angoscia? Cos’è la disperazione? Perchè la noia può determinare un angosciante senso di vuoto?
Scusatemi. Mi dispiace. La settimana scorsa non sono riuscito a pubblicare il contributo settimanale. Sono un po’ incasinato e ho poco tempo.
Mi sono però venute in mente alcune cose:
Noi siamo fatti per fare cose.
Gli esseri umani devono fare cose.
È la nostra natura. Non siamo più scimmie che amano stare sugli alberi a masticare foglie. Non ci possiamo fare niente. È vero che quando abbiamo troppe cose da fare, ci stanchiamo e magari diventiamo stressati e insofferenti, ma è anche vero che quando non abbiamo niente da fare per un bel po’ soffriamo di più: soprattutto se ci sentiamo anche soli.
Da sempre le persone, all’interno delle loro comunità sono sempre state abbastanza impegnate. Il tempo per dormire non è mai stato abbastanza. C’era sempre qualcuno che doveva andare al fiume a lavare i panni, qualcuno che doveva riparare il tetto di paglia e qualcun altro che doveva attraversare la foresta per portare buone o brutte notizie. Praticamente l’evoluzione sociale ha portato l’umanità a capire come fare meno cose per stancarsi di meno e per questo certe volte i figli non sono mai stati abbastanza. Forza lavoro semplice da mandare o a zappare o in guerra. Ora, dopo 200mila anni di storia ci è quasi riuscita. Ma qui viene il bello. Perché se abbiamo sempre lottato per farci sfruttare il meno possibile, adesso il problema è opposto, nessuno sembra volerci più sfruttare e stiamo diventando praticamente inutili.
la cosa ancora più brutta è che se non abbiamo niente da fare ma gli altri invece qualcosa sembrano farla, è ancora peggio, perché siamo anche soli.
L’altra volta ero in macchina e alla radio passa una canzone, che fa così:
“ti ricordi quell’estate, in modo anche se pioveva, e poi se tornerai, riconquisteremo il mondo”.
Lo so, è una canzone degli 883, ma mi sono commosso lo stesso. Che ci posso fare.
Mi era tornato in mente un mio carissimo amico che non so per quale motivo non frequento più. Cioè, credo che ad un certo punto della sua vita abbia deciso che non c’era più motivo di frequentarci. Non abbiamo mai litigato.
E poi una dietro l’altra ho pensato a tutte quelle persone che ci hanno lasciato, anche io avevo nonni fantastici. Insomma, ho pensato a tutte quelle persone che ogni tanto la loro assenza ci fa sentire un po’ più soli.
Nessuna attività da fare + nessuna persona da incontrare = CATASTROFE.
Ti capita? Certo che ti capita.
Ed è un problema.
Questa volta vorrei parlare di questa cosa.
Ok, la conosci le passanti di Fabrizio de Andrè? No, non la conosci.
Immagini care per qualche istante
Sarete presto una folla distante
Scavalcate da un ricordo più vicino
Per poco che la felicità ritorni
È molto raro che ci si ricordi
Degli episodi del cammino
Ma se la vita smette di aiutarti
È più difficile dimenticarti
Di quelle felicità intraviste
Dei baci che non si è osato dare
Delle occasioni lasciate ad aspettare
Degli occhi mai più rivisti
In queste due strofe c’è praticamente tutto. Il passato, con tutta la sua malinconia, lascia piacevolezza. Tristezza piacevole.
Non è il passato che condiziona il nostro stato emotivo presente, ma è il nostro presente che condiziona il nostro stato emotivo presente. È la spiacevolezza del presente che ci fa idealizzare il passato.
Ti ricordi quando ci siamo raccontati che lo stress è uno stato di tensione emotiva?
Ogni volta che abbiamo qualcosa da fare, perché la dobbiamo fare, siamo più o meno stressati in modo piacevole o spiacevole. Tutto quello che facciamo serve a riportarci ad un sopportabile o piacevole equilibrio emotivo. Giusto? Giusto.
Cosa succede quando non abbiamo niente da fare?
Ci annoiamo.
La noia non è altro che uno stato personale totalmente privo di ogni tipo di tensione emotiva. Sei, triste? No. Sei Felice? No. Sei arrabbiato? No. Hai paura? No. Perfetto. Sei annoiato.
La noia è anche bella. Hai in mente quando facciamo qualcosa di importante? O raggiungiamo un obiettivo significativo? Bene. Dopo la gratificazione iniziale, quella che segue è una fase di noia. Bellissimo. Quello stato in cui tutto sembra non avere importanza. Siamo soddisfatti e ci godiamo il bel niente. Magari mettiamo un disco che non mettevamo da un bel po’ perché non avevamo neanche il tempo di pensare che l’avevamo ancora.
Bellissimo.
Ma che succede quando questo stato di noia è eccessivamente prolungato?
Cominciamo ad avvertire il vuoto.
Il vuoto emotivo non è altro che uno stato prolungato di noia. Uno stato in cui non solo non facciamo niente, ma non abbiamo un piano, un programma, delle aspettative. Mamma mia.
Bruttissimo.
La fregatura delle fregature è che il vuoto può diventare angoscia e l’angoscia è devastante.
L’angoscia è quel peso insostenibile fatto di vuoto, disperazione e ansia.
Una tristezza profonda determinata dalla sensazione di non avere niente, nemmeno la speranza.
E l’ansia determinata dalla sensazione di non avere possibilità o capacità di poterne uscire fuori.
E quindi che si fa. Come che si fa. Non ci stiamo cominciando a capire?
Fai qualcosa. Cosa? Qualsiasi cosa mannaggia. Non lo sai? Lo so.
Almeno comincia a pensarci.
Serve un piano.
Anche perché il rischio è che la fase successiva sia cominciare a pensare al suicidio e poi cominciare seriamente a prenderlo in considerazione. Cioè il suicidio sembra una via d’uscita e paradossalmente il piano per la nostra vita diventa pianificarne la fine. Non scherziamo.
Hai mai avuto il commodore 64? Io si. Ogni tanto mi ricordo quanto era bella giocare col commodore, ma diciamoci la verità i giochi facevano schifo. Erano bellissimi ma rispetto a quelli di ora, facevano schifo. Cioè solo chi non si gode la realtà continua a credere che era meglio prima.
Io i nonni non li ho più però quando guardo i miei figli con i miei genitori mi rendo conto che sono tornati.
Generale
La psicoterapia cognitiva comportamentale non cura “solo il sintomo”
la psicoterapia cognitivo comportamentale non cura solo il sintomo. Questo pregiudizio nasce in contrapposizione agli altri modelli che…
La terapia cognitiva comportamentale cura solo il sintomo?
Che vuol dire curare il sintomo?
L’altra volta un mio amico mi ha detto: “Sto cercando uno psicologo però non vorrei andare da un cognitivo comportamentale perché non ho un disturbo specifico, quindi non ho sintomi da curare. Mi piacerebbe di più parlare”.
Qualcosa di simile, il senso era questo.
Ma parlare di cosa del senso della vita? Dell’origine dell’universo?
Non credo.
Chi va dallo psicologo vuole risolvere il proprio disagio emotivo.
Se mi fa male una gamba e vado dal dottore, mica gli dico: “guarda, della gamba non mi interessa poi così tanto. Vorrei parlare dei sacramenti. Tu che ne pensi”.
Quindi,
dallo psicologo ci vanno le persone che vivono un disagio emotivo più o meno complesso, più o meno intenso e più o meno prolungato nel tempo.
Sulla psicologia e sugli psicologi ci sono tanti pregiudizi e tanti stereotipi, questo è uno dei tanti ed in particolare si rivolge agli psicologi psicoterapeuti specialisti in terapia cognitiva comportamentale.
Vorrei approfittarne per chiarire alcune cose.
La terapia cognitiva comportamentale non cura i sintomi ma la persona nella sua totalità.
La credenza che la psicoterapia cognitiva comportamentale si concentrasse eccessivamente nella cura del “sintomo” si è diffusa in contrapposizione alle cosiddette terapie del profondo, tipo la psicanalisi.
Ci sono stati anni in cui i modelli psicoterapeutici erano in forte contrasto ed anche in competizione tra loro.
Tra le fazioni i cognitivisti accusavano gli psicoanalisti di perdersi in chiacchiere con la scusa di fare terapie inconcludenti che duravano secoli ma che loro definivano necessarie per curare davvero la persona in tutta la sua complessità e profondità;
e gli psicoanalisti accusavano i cognitivisti o comportamentisti di fare terapie eccessivamente concentrate sui sintomi che funzionavano all’inizio ma che poi alla lunga la malattia sarebbe ricomparsa.
Da parte mia posso dire e confermare che il fatto che la terapia cognitiva comportamentale si preoccupa di curare solo il sintomo è assolutamente falso, oltre che farlo sarebbe inutile.
Credo che tutti i modelli psicoterapeutici ormai si approccino alla persona in quanto tale.
il “sintomo”, rappresenta il problema attivo presentato dal cliente paziente ed esprime la difficoltà, la criticità che si vorrebbe approfondire e risolvere.
Per esempio, non serve che la persona dica: “sono depresso e penso di volermi suicidare tanto tutto è inutile”, per identificare 2 sintomi: Umore basso e assenza di speranza. Il solo fatto di dire: “sono insoddisfatto, penso che mi manchi qualcosa ma non so esattamente cosa”, frase che ogni tanto potremmo pensare e dire tutti” è di per sé sintomatica perché esprime un disagio emotivo. Un disagio emotivo che può essere semplice e lineare o complesso e strutturato ed è da queste prime dichiarazioni che bisogna approfondirne origine e complessità.
Quello che dico sempre è: “cominciamo a raccontarci le cose più facili ed ovvie e poi se non dovesse bastare, approfondiremo senza cadere in facili e magiche interpretazioni.
Esattamente come ispira il principio del rasoio di Occam che alla fine è il principio che orienta la scienza.
Ne hai mai sentito parlare? Te lo racconto brevemente. Ce ne sono mille versioni ma sinteticamente la storia è questa: una volta un signore ha trovato un oggetto dalla forma strana durante degli scavi archeologici e allora tutti gli archeologici, storici e filosofi del mondo si sono riuniti per capire cos’era. Qualcuno diceva è uno strumento di misurazione del tempo, qualcun altro addirittura diceva che serviva ad aprire un portale extra dimensionale per gli alieni. Alla fine, ad un certo punto uno dice: “Signori, è un rasoio. Rilassatevi. Questa pietra prima era affilata e la usavano per farsi la barba”.
Posso confermare che “il profondo” se necessario, è approfondito pure dai comportamentisti, nel momento in cui fanno un’analisi e una valutazione delle esperienze di vita precoci che se particolarmente spiacevoli, hanno potuto predisporre, determinare e condizionare negativamente la crescita della persona.
In ogni caso,
smettiamola di cadere nel tranello fomentato ultimamente pure dai vari counselor e coach che dicono che dallo psicologo ci vanno quelli che hanno un disturbo psicologico preciso mentre da loro ci vanno quelli che vogliono parlare di come diventare campioni ricchi e forti.
A parte che non sarebbero capaci di riconoscere chi ha un disturbo psichiatrico da chi non ce l’ha, queste persone giocano a fare gli psicologi esercitando abusivamente la professione.
Ma va bene così, andiamo dove vogliamo. Sono secoli che nella maggior parte dei casi basta andare dal prete o nei casi peggiori dal barbiere.
Psicologia clinica
La Gelosia
Cos’è la gelosia? perché può essere pericolosa? Come si riconosce la gelosia? Come si gestisce e si controlla la gelosia?
A proposito di Gelosia…
Come per le altre emozioni, proviamo a vederci più chiaro.
Cos’è la gelosia? Come funziona? Come la gestiamo?
Sicuramente non sarò esaustivo, non è possibile esserlo in questo modo, ma spero almeno di essere un po’ utile.
Se hai letto gli altri contributi, dovresti sapere che l’attivazione emotiva dipende da come interpretiamo quello che sta succedendo.
Ogni volta che succede qualcosa, la nostra mente osserva, interpreta e giudica. Lo fa continuamente. Se qualcosa per la nostra mente è rilevante, allora attiva l’emozione che ritiene più opportuna. Così facendo, la nostra attenzione selettiva viene coinvolta ed agiamo nel modo che a nostro avviso ci riporterà alla serenità.
D’altra parte,
ogni nostro comportamento potrebbe essere un piano finalizzato all’equilibrio emotivo.
- Ho paura dei cani? L’ansia va su. Entro in macchina? L’ansia va giù.
- Mi sorpassi da destra? La rabbia va su. Ti grido contro? La rabbia va giù.
Ansia e rabbia sono emozioni semplici ed elementari.
Se non l’hai già fatto, potresti leggere cosa sono ansia e rabbia perché la gelosia è complessa e composta prevalentemente da queste due emozioni.
La Gelosia si compone di Ansia, rabbia e una relazione sociale romantica, amicale, familiare, lavorativa, ….
Se l’ansia ci mette in allarme circa una probabile minaccia dalla quale dobbiamo difenderci, la rabbia è la più automatica strategia di difesa.
Quando pensiamo che potremmo essere feriti e quindi crediamo di poter vivere una situazione di pericolo possiamo adottare prevalentemente tre strategie. Non reagire-scappare, reagire male o reagire bene.
Quando non reagiamo, perché pensiamo che tanto sarebbe inutile tanto non avremmo scampo, allora cominciamo a diventare tristi rassegnandoci all’inevitabile perdita.
Se invece scegliamo di reagire uno dei modi per farlo male è quello di attaccare.
Ci arrabbiamo quando pensiamo che una regola che per noi è importante è stata infranta e soprattutto se a causa di questa violazione stiamo perdendo una cosa importante.
- Mi superi a destra. Non si fa. Potevo farmi male. Ti inseguo gridando perché devo illudermi di poterti ferire (rabbia).
Adesso sono sicuro che stai cominciando a capire cos’è la gelosia.
- Tu sei mia. Quello che fai non si fa. In questo modo potrei perderti. Devo difendermi. (Ansia+Rabbia).
- hai salutato a quello? Quello ti vuole. Non dovevi parlargli tutto sto tempo. Io non do la colpa a quello. Io do la colpa a te. Sei una XXX.
Nel “geloso”, non bisogna inoltre trascurare una certa insicurezza e sensazione di vulnerabilità trascurata e non del tutto consapevole.
“Se tu sei mia, ma posso perderti è perché probabilmente io non sono abbastanza forte da saperti conservare”.
Come ogni altra emozione, anche la gelosia agisce su vari livelli. Può andare dal semplice fastidio e dalla semplice irritazione che al massimo ci fa mettere il broncio per un po’, alla sensazione di disperazione più estrema con ira funesta che distrugge tutto ciò che di più caro abbiamo vicino solo per avere quell’effimero ma potentissimo sollievo immediato. Le conseguenze dopo quel sollievo le conosciamo tutti.
La catena comportamentale potrebbe essere questa:
- Regola fortissima. Rigida doverizzazione.
- Frustrazione
- Catastrofizzazione
- Giudizio
Ad esempio: Tu devi fare così, così e così. Invece fai questo, questo e questo. (REGOLE); Perché se non fai così io non lo sopporto e non posso sopportarlo (FRUSTRAZIONE); In questo modo tutto sarà un disastro più totale ed un casino assoluto (CATASTROFIZZAZIONE); In questo modo tu sei una XXXXXX ed io faccio la figura del XXXXXXXX (GIUDIZIO); Tutto questo non posso accettarlo e lo impedirò.
La gelosia è strana perché spesso ci fa amare la stessa cosa che ci spaventa.
Altre volte si riversa su altre: amo te ma sono geloso di Y.
Tutto quello che ci siamo detti, naturalmente non riguarda solo gli uomini.
Riconoscere le proprie emozioni, i propri pensieri ed i propri comportamenti anche in questo caso è quindi necessario per ritrovare una maggiore e più adeguata serenità.
Sò che la gelosia non si esaurisce in queste poche righe. Per me era solo importante riuscire a definire in confini dentro il quale la gelosia si muove.
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