Psicologia clinica
Il Burnout senza poesia
Il Burnout è una condizione di esaurimento emotivo causata dalla disillusione che quello che sognavamo di fare non è possibile.
Stai provando ad approfondire cos’è il burnout?
Facciamo così. Lavori? Hai mai lavorato? Hai mai trovato un lavoro che ti piaceva davvero? Io si. Almeno 3 ed in uno forse sono stato in burnout. Come ho risolto? Me ne sono andato. E se non avessi potuto farlo? Che avrei fatto in assenza di alternative. E se le cose si risolvevano? Non lo so ancora. Me lo auguro per i miei colleghi che sono rimasti.
Per capirci meglio, stavolta mi devi aiutare.
Immagina di avere il lavoro dei tuoi sogni. Ce l’hai almeno nella tua mente? L’hai mai fatto? Il lavoro dei nostri sogni è quello che facciamo senza pensare continuamente a quanto guadagniamo.
Il burnout è una cosa che ci fa stare male e certe volte molto male.
Ogni volta che ci raccontiamo di quando le persone stanno male ormai sappiamo che è tutta una cosa che caratterizza il loro stato emotivo, i loro pensieri ed i loro comportamenti.
E quindi, le persone in burnout come stanno? Sono scottate. Hai presente quanto tua madre ti diceva: “stai attento che ti bruci?”, perfetto le persone in burnout si sono scottate. E quando dico scottate intendo bruciate. Hanno giocato con il fuoco? No, ci hanno lavorato.
Ti ricordi cosa ci siamo raccontati nei video dove abbiamo parlato di stress? Ti ricordi le fasi che per lo stress negativo portano all’esaurimento emotivo?
Ripassiamo:
- 1) fase uno, allarme;
- 2) fase due, fronteggiamento;
- 3) fase tre o soluzione o esaurimento.
Quando siamo in burnout siamo esauriti. Le abbiamo provate tutte ma niente ha funzionato e ci ritroviamo in una condizione caratterizzata da esaurimento nervoso.
Non abbiamo più la forza per tentare di cambiare le cose e farle funzionare e quindi restiamo in balia. In balia del nostro disagio.
Il burnout è una condizione psicofisica che caratterizza le persone disilluse dal proprio lavoro; e lo sai per colpa di cosa? Nella maggior parte per colpa dei loro sogni.
Immagina che da piccolo volevi fare il poliziotto. Ma non il poliziotto tanto per. Non per avere il posto fisso e lo stipendio sicuro. Nel tuo caso volevi fare il poliziotto per salvare il mondo.
A vent’anni diventi poliziotto. Ci sei riuscito. Sei la persona più felice del mondo. Ma non perché non sapevi cosa fare e quindi le provi tutte. No, volevi fare proprio il poliziotto. Al massimo il carabiniere, tanto siamo li. E finalmente ci sei riuscito e puoi contribuire a fare andare le cose bene e a salvare le persone. Fantastico.
Sicuro? No, sicuro no. Perché piano piano scopri che la tua iniziativa conta poco. Meglio che stai zitto e sali in macchina. Ci sono alcune cose che secondo te non servono a niente e fanno perdere solo tempo. Ma “schhh, silenzio”. Il lavoro è anche questo, non rompere le scatole e timbra. A che ci sei metti pure un altro timbro qua. Magari contribuisci a fare l’arresto del secolo ma dopo un po’ quella persona non può essere trattenuta perché nel foglio di arresto è stata sbagliata la data di nascita. Magari anziché dirti: “ottimo lavoro”, Ti dicono: “sei un cretino”.
Come cominci a sentirti?
Cominci a perdere l’entusiasmo e la motivazione. L’umore va giù.
La situazione va avanti per un bel po’. All’inizio ci provi a farti capire ma le cose non cambiano. Quindi vai sempre più giù e ti rendi conto che non sei negli avengers e tu non sei batman. Come la prendi. Male. E ad un certo punto vai al lavoro solo perché devi pagare le bollette e diventi cinico e stronzo. Ma ci mancherebbe. Tu ci credevi e io ti credo.
Mi sono inventato questa storia ma avrei potuto inverla sui medici, sugli assistenti sociali, sugli psicologi, sugli insegnanti, praticamente su tutte quelle persone che lavorano per aiutare e sostenere direttamente le altre persone. Ma non solo, diciamo che in questi tipi di lavoro la cosa è più frequente ma non esclusiva. Ad esempio immagina di diventare un chimico perché vuoi scoprire nuovi materiali per abolire la plastica dal pianeta ma poi tutto diventa troppo difficile e ti ritrovi a lavorare alla dogana e fare tutto il giorno analisi di detersivi e caffè.
L’importante è avere capito che le persone in Burnout si sentono impotenti, disilluse, sovraccariche, demotivate, tristi e arrabbiate. Il fortissimo senso di comunità che avevano probabilmente lo hanno perso e lo hanno perso insieme alla speranza.
Non è bello.
Purtroppo lo sappiamo, certe volte la nostra società e la nostra organizzazione del lavoro sono incapaci di ottimizzare e valorizzare l’energia individuale portandola a stagnazione.
Magari alcune persone eccessivamente idealiste caricano di aspettative eccessive quello che fanno e quello che si può fare, ma è anche vero che certe volte ogni tentativo di rinnovamento viene soppresso sul nascere.
E quindi considerato che, un bel po’ di lavoratori in Italia sono a rischio burnout, sarebbe utile non sottovalutare più sta cosa e approfondirla a livello istituzionale che individuale, sia per non fare stare male le persone, sia per non perdere l’occasione di trovare nuove opportunità di crescita per tutta la società.
Psicologia clinica
Noia, Angoscia e Disperazione
Cos’è la noia? Cos’è l’angoscia? Cos’è la disperazione? Perchè la noia può determinare un angosciante senso di vuoto?
Scusatemi. Mi dispiace. La settimana scorsa non sono riuscito a pubblicare il contributo settimanale. Sono un po’ incasinato e ho poco tempo.
Mi sono però venute in mente alcune cose:
Noi siamo fatti per fare cose.
Gli esseri umani devono fare cose.
È la nostra natura. Non siamo più scimmie che amano stare sugli alberi a masticare foglie. Non ci possiamo fare niente. È vero che quando abbiamo troppe cose da fare, ci stanchiamo e magari diventiamo stressati e insofferenti, ma è anche vero che quando non abbiamo niente da fare per un bel po’ soffriamo di più: soprattutto se ci sentiamo anche soli.
Da sempre le persone, all’interno delle loro comunità sono sempre state abbastanza impegnate. Il tempo per dormire non è mai stato abbastanza. C’era sempre qualcuno che doveva andare al fiume a lavare i panni, qualcuno che doveva riparare il tetto di paglia e qualcun altro che doveva attraversare la foresta per portare buone o brutte notizie. Praticamente l’evoluzione sociale ha portato l’umanità a capire come fare meno cose per stancarsi di meno e per questo certe volte i figli non sono mai stati abbastanza. Forza lavoro semplice da mandare o a zappare o in guerra. Ora, dopo 200mila anni di storia ci è quasi riuscita. Ma qui viene il bello. Perché se abbiamo sempre lottato per farci sfruttare il meno possibile, adesso il problema è opposto, nessuno sembra volerci più sfruttare e stiamo diventando praticamente inutili.
la cosa ancora più brutta è che se non abbiamo niente da fare ma gli altri invece qualcosa sembrano farla, è ancora peggio, perché siamo anche soli.
L’altra volta ero in macchina e alla radio passa una canzone, che fa così:
“ti ricordi quell’estate, in modo anche se pioveva, e poi se tornerai, riconquisteremo il mondo”.
Lo so, è una canzone degli 883, ma mi sono commosso lo stesso. Che ci posso fare.
Mi era tornato in mente un mio carissimo amico che non so per quale motivo non frequento più. Cioè, credo che ad un certo punto della sua vita abbia deciso che non c’era più motivo di frequentarci. Non abbiamo mai litigato.
E poi una dietro l’altra ho pensato a tutte quelle persone che ci hanno lasciato, anche io avevo nonni fantastici. Insomma, ho pensato a tutte quelle persone che ogni tanto la loro assenza ci fa sentire un po’ più soli.
Nessuna attività da fare + nessuna persona da incontrare = CATASTROFE.
Ti capita? Certo che ti capita.
Ed è un problema.
Questa volta vorrei parlare di questa cosa.
Ok, la conosci le passanti di Fabrizio de Andrè? No, non la conosci.
Immagini care per qualche istante
Sarete presto una folla distante
Scavalcate da un ricordo più vicino
Per poco che la felicità ritorni
È molto raro che ci si ricordi
Degli episodi del cammino
Ma se la vita smette di aiutarti
È più difficile dimenticarti
Di quelle felicità intraviste
Dei baci che non si è osato dare
Delle occasioni lasciate ad aspettare
Degli occhi mai più rivisti
In queste due strofe c’è praticamente tutto. Il passato, con tutta la sua malinconia, lascia piacevolezza. Tristezza piacevole.
Non è il passato che condiziona il nostro stato emotivo presente, ma è il nostro presente che condiziona il nostro stato emotivo presente. È la spiacevolezza del presente che ci fa idealizzare il passato.
Ti ricordi quando ci siamo raccontati che lo stress è uno stato di tensione emotiva?
Ogni volta che abbiamo qualcosa da fare, perché la dobbiamo fare, siamo più o meno stressati in modo piacevole o spiacevole. Tutto quello che facciamo serve a riportarci ad un sopportabile o piacevole equilibrio emotivo. Giusto? Giusto.
Cosa succede quando non abbiamo niente da fare?
Ci annoiamo.
La noia non è altro che uno stato personale totalmente privo di ogni tipo di tensione emotiva. Sei, triste? No. Sei Felice? No. Sei arrabbiato? No. Hai paura? No. Perfetto. Sei annoiato.
La noia è anche bella. Hai in mente quando facciamo qualcosa di importante? O raggiungiamo un obiettivo significativo? Bene. Dopo la gratificazione iniziale, quella che segue è una fase di noia. Bellissimo. Quello stato in cui tutto sembra non avere importanza. Siamo soddisfatti e ci godiamo il bel niente. Magari mettiamo un disco che non mettevamo da un bel po’ perché non avevamo neanche il tempo di pensare che l’avevamo ancora.
Bellissimo.
Ma che succede quando questo stato di noia è eccessivamente prolungato?
Cominciamo ad avvertire il vuoto.
Il vuoto emotivo non è altro che uno stato prolungato di noia. Uno stato in cui non solo non facciamo niente, ma non abbiamo un piano, un programma, delle aspettative. Mamma mia.
Bruttissimo.
La fregatura delle fregature è che il vuoto può diventare angoscia e l’angoscia è devastante.
L’angoscia è quel peso insostenibile fatto di vuoto, disperazione e ansia.
Una tristezza profonda determinata dalla sensazione di non avere niente, nemmeno la speranza.
E l’ansia determinata dalla sensazione di non avere possibilità o capacità di poterne uscire fuori.
E quindi che si fa. Come che si fa. Non ci stiamo cominciando a capire?
Fai qualcosa. Cosa? Qualsiasi cosa mannaggia. Non lo sai? Lo so.
Almeno comincia a pensarci.
Serve un piano.
Anche perché il rischio è che la fase successiva sia cominciare a pensare al suicidio e poi cominciare seriamente a prenderlo in considerazione. Cioè il suicidio sembra una via d’uscita e paradossalmente il piano per la nostra vita diventa pianificarne la fine. Non scherziamo.
Hai mai avuto il commodore 64? Io si. Ogni tanto mi ricordo quanto era bella giocare col commodore, ma diciamoci la verità i giochi facevano schifo. Erano bellissimi ma rispetto a quelli di ora, facevano schifo. Cioè solo chi non si gode la realtà continua a credere che era meglio prima.
Io i nonni non li ho più però quando guardo i miei figli con i miei genitori mi rendo conto che sono tornati.
Generale
La psicoterapia cognitiva comportamentale non cura “solo il sintomo”
la psicoterapia cognitivo comportamentale non cura solo il sintomo. Questo pregiudizio nasce in contrapposizione agli altri modelli che…
La terapia cognitiva comportamentale cura solo il sintomo?
Che vuol dire curare il sintomo?
L’altra volta un mio amico mi ha detto: “Sto cercando uno psicologo però non vorrei andare da un cognitivo comportamentale perché non ho un disturbo specifico, quindi non ho sintomi da curare. Mi piacerebbe di più parlare”.
Qualcosa di simile, il senso era questo.
Ma parlare di cosa del senso della vita? Dell’origine dell’universo?
Non credo.
Chi va dallo psicologo vuole risolvere il proprio disagio emotivo.
Se mi fa male una gamba e vado dal dottore, mica gli dico: “guarda, della gamba non mi interessa poi così tanto. Vorrei parlare dei sacramenti. Tu che ne pensi”.
Quindi,
dallo psicologo ci vanno le persone che vivono un disagio emotivo più o meno complesso, più o meno intenso e più o meno prolungato nel tempo.
Sulla psicologia e sugli psicologi ci sono tanti pregiudizi e tanti stereotipi, questo è uno dei tanti ed in particolare si rivolge agli psicologi psicoterapeuti specialisti in terapia cognitiva comportamentale.
Vorrei approfittarne per chiarire alcune cose.
La terapia cognitiva comportamentale non cura i sintomi ma la persona nella sua totalità.
La credenza che la psicoterapia cognitiva comportamentale si concentrasse eccessivamente nella cura del “sintomo” si è diffusa in contrapposizione alle cosiddette terapie del profondo, tipo la psicanalisi.
Ci sono stati anni in cui i modelli psicoterapeutici erano in forte contrasto ed anche in competizione tra loro.
Tra le fazioni i cognitivisti accusavano gli psicoanalisti di perdersi in chiacchiere con la scusa di fare terapie inconcludenti che duravano secoli ma che loro definivano necessarie per curare davvero la persona in tutta la sua complessità e profondità;
e gli psicoanalisti accusavano i cognitivisti o comportamentisti di fare terapie eccessivamente concentrate sui sintomi che funzionavano all’inizio ma che poi alla lunga la malattia sarebbe ricomparsa.
Da parte mia posso dire e confermare che il fatto che la terapia cognitiva comportamentale si preoccupa di curare solo il sintomo è assolutamente falso, oltre che farlo sarebbe inutile.
Credo che tutti i modelli psicoterapeutici ormai si approccino alla persona in quanto tale.
il “sintomo”, rappresenta il problema attivo presentato dal cliente paziente ed esprime la difficoltà, la criticità che si vorrebbe approfondire e risolvere.
Per esempio, non serve che la persona dica: “sono depresso e penso di volermi suicidare tanto tutto è inutile”, per identificare 2 sintomi: Umore basso e assenza di speranza. Il solo fatto di dire: “sono insoddisfatto, penso che mi manchi qualcosa ma non so esattamente cosa”, frase che ogni tanto potremmo pensare e dire tutti” è di per sé sintomatica perché esprime un disagio emotivo. Un disagio emotivo che può essere semplice e lineare o complesso e strutturato ed è da queste prime dichiarazioni che bisogna approfondirne origine e complessità.
Quello che dico sempre è: “cominciamo a raccontarci le cose più facili ed ovvie e poi se non dovesse bastare, approfondiremo senza cadere in facili e magiche interpretazioni.
Esattamente come ispira il principio del rasoio di Occam che alla fine è il principio che orienta la scienza.
Ne hai mai sentito parlare? Te lo racconto brevemente. Ce ne sono mille versioni ma sinteticamente la storia è questa: una volta un signore ha trovato un oggetto dalla forma strana durante degli scavi archeologici e allora tutti gli archeologici, storici e filosofi del mondo si sono riuniti per capire cos’era. Qualcuno diceva è uno strumento di misurazione del tempo, qualcun altro addirittura diceva che serviva ad aprire un portale extra dimensionale per gli alieni. Alla fine, ad un certo punto uno dice: “Signori, è un rasoio. Rilassatevi. Questa pietra prima era affilata e la usavano per farsi la barba”.
Posso confermare che “il profondo” se necessario, è approfondito pure dai comportamentisti, nel momento in cui fanno un’analisi e una valutazione delle esperienze di vita precoci che se particolarmente spiacevoli, hanno potuto predisporre, determinare e condizionare negativamente la crescita della persona.
In ogni caso,
smettiamola di cadere nel tranello fomentato ultimamente pure dai vari counselor e coach che dicono che dallo psicologo ci vanno quelli che hanno un disturbo psicologico preciso mentre da loro ci vanno quelli che vogliono parlare di come diventare campioni ricchi e forti.
A parte che non sarebbero capaci di riconoscere chi ha un disturbo psichiatrico da chi non ce l’ha, queste persone giocano a fare gli psicologi esercitando abusivamente la professione.
Ma va bene così, andiamo dove vogliamo. Sono secoli che nella maggior parte dei casi basta andare dal prete o nei casi peggiori dal barbiere.
Psicologia clinica
La Gelosia
Cos’è la gelosia? perché può essere pericolosa? Come si riconosce la gelosia? Come si gestisce e si controlla la gelosia?
A proposito di Gelosia…
Come per le altre emozioni, proviamo a vederci più chiaro.
Cos’è la gelosia? Come funziona? Come la gestiamo?
Sicuramente non sarò esaustivo, non è possibile esserlo in questo modo, ma spero almeno di essere un po’ utile.
Se hai letto gli altri contributi, dovresti sapere che l’attivazione emotiva dipende da come interpretiamo quello che sta succedendo.
Ogni volta che succede qualcosa, la nostra mente osserva, interpreta e giudica. Lo fa continuamente. Se qualcosa per la nostra mente è rilevante, allora attiva l’emozione che ritiene più opportuna. Così facendo, la nostra attenzione selettiva viene coinvolta ed agiamo nel modo che a nostro avviso ci riporterà alla serenità.
D’altra parte,
ogni nostro comportamento potrebbe essere un piano finalizzato all’equilibrio emotivo.
- Ho paura dei cani? L’ansia va su. Entro in macchina? L’ansia va giù.
- Mi sorpassi da destra? La rabbia va su. Ti grido contro? La rabbia va giù.
Ansia e rabbia sono emozioni semplici ed elementari.
Se non l’hai già fatto, potresti leggere cosa sono ansia e rabbia perché la gelosia è complessa e composta prevalentemente da queste due emozioni.
La Gelosia si compone di Ansia, rabbia e una relazione sociale romantica, amicale, familiare, lavorativa, ….
Se l’ansia ci mette in allarme circa una probabile minaccia dalla quale dobbiamo difenderci, la rabbia è la più automatica strategia di difesa.
Quando pensiamo che potremmo essere feriti e quindi crediamo di poter vivere una situazione di pericolo possiamo adottare prevalentemente tre strategie. Non reagire-scappare, reagire male o reagire bene.
Quando non reagiamo, perché pensiamo che tanto sarebbe inutile tanto non avremmo scampo, allora cominciamo a diventare tristi rassegnandoci all’inevitabile perdita.
Se invece scegliamo di reagire uno dei modi per farlo male è quello di attaccare.
Ci arrabbiamo quando pensiamo che una regola che per noi è importante è stata infranta e soprattutto se a causa di questa violazione stiamo perdendo una cosa importante.
- Mi superi a destra. Non si fa. Potevo farmi male. Ti inseguo gridando perché devo illudermi di poterti ferire (rabbia).
Adesso sono sicuro che stai cominciando a capire cos’è la gelosia.
- Tu sei mia. Quello che fai non si fa. In questo modo potrei perderti. Devo difendermi. (Ansia+Rabbia).
- hai salutato a quello? Quello ti vuole. Non dovevi parlargli tutto sto tempo. Io non do la colpa a quello. Io do la colpa a te. Sei una XXX.
Nel “geloso”, non bisogna inoltre trascurare una certa insicurezza e sensazione di vulnerabilità trascurata e non del tutto consapevole.
“Se tu sei mia, ma posso perderti è perché probabilmente io non sono abbastanza forte da saperti conservare”.
Come ogni altra emozione, anche la gelosia agisce su vari livelli. Può andare dal semplice fastidio e dalla semplice irritazione che al massimo ci fa mettere il broncio per un po’, alla sensazione di disperazione più estrema con ira funesta che distrugge tutto ciò che di più caro abbiamo vicino solo per avere quell’effimero ma potentissimo sollievo immediato. Le conseguenze dopo quel sollievo le conosciamo tutti.
La catena comportamentale potrebbe essere questa:
- Regola fortissima. Rigida doverizzazione.
- Frustrazione
- Catastrofizzazione
- Giudizio
Ad esempio: Tu devi fare così, così e così. Invece fai questo, questo e questo. (REGOLE); Perché se non fai così io non lo sopporto e non posso sopportarlo (FRUSTRAZIONE); In questo modo tutto sarà un disastro più totale ed un casino assoluto (CATASTROFIZZAZIONE); In questo modo tu sei una XXXXXX ed io faccio la figura del XXXXXXXX (GIUDIZIO); Tutto questo non posso accettarlo e lo impedirò.
La gelosia è strana perché spesso ci fa amare la stessa cosa che ci spaventa.
Altre volte si riversa su altre: amo te ma sono geloso di Y.
Tutto quello che ci siamo detti, naturalmente non riguarda solo gli uomini.
Riconoscere le proprie emozioni, i propri pensieri ed i propri comportamenti anche in questo caso è quindi necessario per ritrovare una maggiore e più adeguata serenità.
Sò che la gelosia non si esaurisce in queste poche righe. Per me era solo importante riuscire a definire in confini dentro il quale la gelosia si muove.
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